Gli arancini rappresentano la rosticceria italiana sono un piatto tipico siciliano e spesso sono proposti da diversi food truck come uno dei simboli dello streetfood per eccellenza. Ma il loro protagonismo a livello nazionale è dovuto soprattutto alla disputa che da anni vede contrapporsi la dicitura arancino alla dicitura arancina e con esse anche i catanesi e i palermitani.
Questa diversità non è solo denominativa, ma porta con sé la scissione di un popolo, la stessa che vede contrapposta l’area occidentale da quella orientale dell’isola. E così abbiamo l’arancino, che nel comprensorio catanese assume forma conica rappresentando l’Etna: caldo e fumante come il vulcano, è ricoperto da una crosta croccante fuori e morbida dentro proprio come la lava che raffreddandosi si indurisce ai lati dell’Etna.
A Palermo, invece si parla dell’arancina dalla tipica forma tonda ispirata all’arancia anche nella durezza della crosta e caratterizzata dallo zafferano per la cottura del riso, portato in Sicilia dalla dominazione araba, che permetterebbe quindi, ai palermitani di rivendicare la paternità del piatto.
Entrambi i nomi derivano dal termine arancia, rappresentativo del frutto tipico dell’isola, che anch’esso si declina sia al maschile con “aranciu” (in dialetto siciliano) che al femminile con “arancia”. Tra le varie interpretazioni una cosa è certa: al plurale entrambe le denominazioni prendono il maschile, in quanto la lingua italiana deriva dal volgare latino e quindi ecco, più semplicemente, gli arancini.
Altrettanto certi sono gli ingredienti: il riso cotto in abbondante brodo e utilizzato freddo per dare la tipica forma tondeggiante, il ragù realizzato con cipolla, carne trita, pomodoro e spezie, i piselli e il pangrattato per una panatura croccante che passa prima attraverso la pastella di acqua e farina. Molte sono poi le versioni rivisitate di un piatto tipico che è diventato dominio di tutti: una su tutte quelle che vede all’interno un ripieno di prosciutto e caciocavallo anziché di ragù.
Anche le origini di ingredienti e preparazione sono piuttosto diversificate: se come già detto, il riso allo zafferano era un piatto tipico degli arabi durante la dominazione dell’alto medioevo in Sicilia i quali erano soliti mangiarlo abbinato con carni e spezie varie, la panatura invece si deve all’ingegnosa usanza di Federico ll di Svevia che, per portare con sé il riso durante uscite o battute di caccia, pensò a una panatura croccante per mantenerlo ma anche per un miglior trasporto.
Sebbene sembri quasi certo che il piatto nasca come dolce tipico consumato durante la festività di Santa Lucia anche perché i primi acquisti di pomodoro (per la versione salata quindi) risalgono soltanto al 1852, la prima attestazione che parla di un piatto molto simile all’arancino odierno è del 1226: Muhammad al-Baghdadi nel suo libro di cucina riporta la ricetta della Nāranjīya (arancia), una polpetta di carne di montone immersa nell’uovo sbattuto e fritta in modo da farla assomigliare a un’arancia.
Il piatto ad oggi è stato ufficialmente riconosciuto e inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.
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