C’è una tendenza che negli ultimi anni sta caratterizzando le abitudini alimentari degli italiani: il consumo di street food. Secondo un sondaggio della Coldiretti, nel 2014 quasi tre italiani su quattro (il 73%) hanno acquistato cibo di strada, confermando un trend di crescita che acquista un valore ancora più significativo se comparato con la situazione di stallo del mercato della ristorazione. Se infatti da una parte Coldiretti sottolinea il boom del cibo di strada, dall’altra Confesercenti rivela che tra il 2010 e la prima metà del 2014 i consumi nei ristoranti e nei bar sono diminuiti dell’8,2%, con una riduzione del giro di affari del 18%. Dati confermati dalla società di ricerche di mercato Npd Group, secondo cui la spesa per consumi fuori casa è calata di 2 miliardi di euro nell’ultimo triennio, facendo registrare un -2% nel 2014 dopo il -2,4% dell’anno precedente.

Risparmio e tipicità

Il cibo di strada, invece, non conosce crisi. Anzi, secondo Coldiretti è proprio l’esigenza del risparmio, dovuta al periodo di difficoltà economica delle famiglie, a spingere oltre 35 milioni di italiani a consumarlo. Ma non solo. Motore di questa crescita è anche la “riscoperta del territorio e dei suoi sapori tipici”, altro trend emergente nei consumi alimentari del nostro Paese. Sempre secondo i dati dell’associazione degli agricoltori, infatti, oltre la metà degli italiani (il 60%) predilige cibo di strada locale, cioè prodotti come piadine, arrosticini e arancini; solo il 10% sceglie cibi etnici come il kebab, mentre appena il 3% è attratto soprattutto da quelli internazionale come gli hot dog, di origine statunitense.

Italia, patria dei foodies

E proprio gli Usa sembrano essere la fonte d’ispirazione principale della “nuova vita” dello street food italiano, che sta diventando qualcosa di più rilevante di una semplice tradizione o abitudine alimentare. A confermarlo è una ricerca finanziata dall’Università degli Studi di Milano Bicocca, secondo cui in Italia, a partire dal 2012, si sta sviluppando “una forma di street food che si distingue da quelle storicamente presenti nella Penisola per tipi di piatti offerti, strategie di marketing, uso degli spazi cittadini e profilo socio-anagrafico dei commercianti, le cui radici vanno ricercate oltreoceano”. Un nuovo filone caratterizzato da “mezzi di vendita artisticamente decorati e dalle forme personalizzate”, da “piatti gourmet”, ingredienti “selezionati, freschi, biologici, locali, stagionali” e dalla “diffusione di eventi e festival ad hoc che attraggono una crescente folla di cosiddetti foodies”.

Così si promuove la cucina italiana

In questo contesto, il cibo di strada agisce come leva di marketing per la promozione di altre attività nel campo della ristorazione o per la promozione della ricchezza agroalimentare del nostro Paese. È il caso, per esempio, dello chef stellato Mauro Uliassi, che dal 2011 promuove la propria cucina attraverso un chiosco itinerante attraverso il quale rivisita alcune delle sue ricette in chiave street food. Oppure di Streeteataly, il food truck con il quale la catena Eataly si promuove all’interno di festival e manifestazioni dedicate al cibo di strada. O, ancora, di Expo 2015, che promuove la cucina italiana attraverso un’area interamente riservata al cibo di strada: apecar e furgoncini attrezzati con cucine in grado di proporre pizza, friggitoria e hamburger, ma anche piatti più elaborati come zuppe, primi piatti, insalate, barbecue e menu gluten free.

Ready-to-eat per 2,5 miliardi di persone

Non è un caso che l’area dedicata allo street food sia una delle più affollate dai visitatori di Expo di tutto il mondo: la passione per il cibo di strada infatti non ha confini, come dimostra la diffusione del fenomeno a livello globale. Secondo i dati Fao, lo street food è consumato ogni giorno da circa 2,5 miliardi di persone in tutto il mondo; in America Latina, lo street food rappresenta fino al 30% della spesa delle famiglie urbane e a Bangkok, in Thailandia, si stimano 20mila venditori di cibo di strada, che forniscono alla popolazione circa il 40% dell’apporto energetico complessivo. La città thailandese, secondo il settimanale economico statunitense Forbes, guida top ten delle migliori città al mondo per il cibo di strada, seguita da Singapore, Penang (in Malaysia) e Marrakech, mentre al quinto posto c’è la nostra Palermo.